È il prezzo che paghiamo, forse il più caro, per una vita sempre più lunga. Un bambino su tre di quelli nati quest’anno, dicono alcune stime, quando sarà vecchio soffrirà di qualche forma di demenza. Già oggi, nel mondo, la demenza, di cui l’Alzheimer è la forma più diffusa, riguarda circa 46 milioni di ammalati (che saranno 131 nel 2050). In Italia le persone affette da patologie cognitive legate all’età sono 1 milione e 241 mila, e 70 mila i nuovi casi l’anno. I costi di questa emergenza sanitaria e sociale, che già superano in Italia i 37 miliardi di euro l’anno, con il tempo diventeranno insostenibili. Sia per lo Stato, sia per chi ha un malato in casa. Il dramma dell’Alzheimer travolge infatti non solo chi ne è colpito, ma anche i familiari. E molto (troppo) dipende da dove si vive. Il Piano nazionale per le demenze ha zero finanziamenti e tante diverse realtà locali: criteri e modelli organizzativi cambiano da una Regione all’altra, così come cambia il contributo della Regione sia nell’assistenza domiciliare, se si sceglie di curare il genitore con Alzheimer in casa, sia nel pagamento della retta se si decide di affidarlo a una struttura specializzata…
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«No» alle cure, poi la strage Omicidio-suicidio a Napoli
Nicola, suo figlio, aveva solo cinque anni quando accettò il consiglio di farsi aiutare, nel 2003. Ma Cesare Cuozzo, l’ex bidello che nella notte tra lunedì e martedì ha ammazzato il ragazzo di 17 anni e la sua mamma, mentre dormivano, e poi si è ucciso con un colpo di pistola, metteva piede raramente nell’ambulatorio del suo psichiatra, al distretto sanitario in via Disney, l’ultima volta mesi fa, e rifiutava anche le visite a domicilio. Per non incrementare presunte e «ulteriori maldicenze» da parte dei vicini dovute all’arrivo di un’auto dell’Asl nel parco di San Giovanni a Teduccio. I contatti con il medico, spesso sostenuti da Anna, consorte di Cuozzo e sorella dell’assessore Nino Daniele, erano diventati più radi ma non s’erano mai interrotti e avvenivano soprattutto per telefono.
L’articolo sul Mattino: link
Viaggio a Verbicaro, è questo il paese dei disoccupati da record
Antonio Bruzzese, 46 anni, mantiene la figlia all’università con la pensione della suocera. Salvatore Zito, emigrante di ritorno dalla Germania, è alla ricerca di lavoro da sei mesi ma non trova nulla. Giuseppe Salvatore Tufo dà fondo ai risparmi di una vita da quando l’azienda che l’aveva assunto è fallita. Il dissesto ha travolto tutti i dipendenti: «Per mesi» dice l’artigiano dai capelli sale e pepe «ho continuato a intagliare infissi senza incassare lo stipendio. Ora sono in causa per recuperare 8 mila euro. Altri 2 mila me li deve un imprenditore che, dopo il crac, è fuggito al Nord. Per la sua ditta scolpivo “cappotti di legno”. Le casse da morto, capito? È finita in tragedia». Giuseppe Cirelli: 34 anni, 130 mesi di sussidi di disoccupazione. «Ho fatto il camionista, il metronotte, il carpentiere, il bracciante, il meccanico… Mille lavori, prospettive zero» dice, fermandosi in corso Umberto I. Di fronte, il campanile del paesino calabrese. Alle sue spalle, il municipio tappezzato di striscioni. Ma in cerca di lavoro è pure il vicesindaco: Mirella Ruggiero, 27 anni, prima di 6 figli, laureata in scienze del turismo. Si è pagata gli studi sgobbando 6 mesi all’anno come cameriera.
Siamo a Verbicaro, provincia di Cosenza, e, ogni volta che si entra in piazza, sembra sia in corso una riunione: perché l’impatto della crisi sia meno brusco, i disoccupati hanno creato infatti un comitato di lotta. Il paese che si estende nel parco del Pollino, tra mare e montagna, appare un tutt’uno: si è autoproclamato in assemblea permanente e il 23 maggio 2011 ha organizzato una serrata generale.
Se non si contano gli studenti, un abitante su due, tra i 15 e i 65 anni, è a caccia d’impiego; uno su tre è disoccupato(e il rapporto Svimez 2011 stima che in tutto il Mezzogiorno il tasso di occupazione nella fascia 15-34 anni sia appena al 31,7%). Da queste cifre ha preso forma il nuovo «Quarto stato». Un paese diventato manifesto: il popolo dei senza lavoro in marcia come il proletariato ritratto da Pellizza da Volpedo. Risultano 552 disoccupati e, in totale, 730 iscritti all’ufficio di «collocamento», di cui il 51,5 per cento sono donne. A certificare il picco di casi è il vicepresidente della Provincia, Domenico Bevacqua. «La crisi dell’edilizia nell’ultimo anno ha aumentato le difficoltà che si riscontrano pure nei paesi limitrofi» sottolinea. «L’accesso al credito diventa sempre più difficile. Ciò significa che altre imprese stanno per chiudere» afferma il presidente della Camera di commercio, Giuseppe Gaglioti. Che aggiunge: «Nell’intera provincia, è quanto segnala il rapporto sull’economia, si sono persi 11 mila posti di lavoro». Tra il 2009 e il 2010, il numero di «occupati» è sceso perciò da 220 a 209 mila, secondo la stima di Rosa Adamo, curatrice del rapporto. Quanto al saldo negativo, lungo la direttrice Nord-Sud, il pil pro capite si ferma a 17.147 euro, la media nazionale è di 25.263.
Non da oggi Verbicaro, paese di 3.238 anime, ha una storia travagliata. Il dramma del lavoro è questione di famiglia. Per generazioni gli abitanti si sono trasferiti in America, in Germania, in Trentino. Ovunque fosse possibile sbarcare il lunario. E, ancora oggi, si parte sognando di tornare nella «piccola patria».
Racconta Stefano Torrano, 28 anni: «Con i risparmi di una vita trascorsa in trasferta, mio padre aveva costruito un ristorante ma gli affari non sono decollati». I fornelli spenti, la sala vuota, il complesso abbandonato. «Per lavorare come cameriere, sono andato prima in Liguria, poi in Spagna. Disoccupato è pure mio fratello». Maria Rosetta Cirelli sussurra: «Ho 46 anni, sono vedova da quasi 20. Mio figlio è emigrato appena 15enne per la penuria di risorse. Da novembre scorso è di nuovo a Verbicaro ma senza lavoro. Con la moglie e un bimbo in fasce». Sono le famiglie definite «a reddito zero».
Al banco alimentare, per allentare i lacci della crisi, il parroco Ernesto De Marco distribuisce riso, olio e altri beni di prima necessità. Rivela: «I beneficiari sono raddoppiati in 12 mesi». A scuola, dice l’insegnante Maria Silvestri, «si notano meno merendine, i bambini mangiano la fetta di pane col salame fatto in casa». E, sempre più spesso, nei negozi si fa credito. «Si attende giorni, mesi, persino anni per riscuotere» sorride il commerciante Giuseppe De Giorgio.
«Ho 25 anni, lavoro a Canazei, sulle Dolomiti. Sono rientrato per una vacanza. In paese, le prime 3 persone che ho incontrato m’hanno chiesto 50 euro in prestito. Non è buon segno. Anch’io mi sento povero, a che serve avere di più se non puoi goderne?» osserva Marco Lucchese.
Secondo un’indagine del comitato di disoccupati, una ventina di botteghe e laboratori hanno chiuso nel biennio. I «nababbi» del paese? Sono diventati i dipendenti comunali, perché possono contare su uno stipendio «a prova di crisi». «Con più di 1.000 euro al mese qui si vive da Dio» dice Franca Belmonte, ottima cuoca. Con Maria Rosetta e Vera Caracciolo rassetta le case di villeggiatura nella vicina Scalea, per 6 euro l’ora. Tutte si dedicano al volontariato: una ventina le associazioni, numerose le iniziative. L’incendio dei «zigni» (ceppi di legno accesi portati in spalla dai fedeli) e l’infiorata, il 1° e il 2 luglio, per festeggiare la Madonna delle Grazie; il festival internazionale del folklore, dal 6 all’11 agosto; la processione col rito dei battenti nel giovedì santo. «Per ricchezza di tradizioni e splendore dei luoghi, Verbicaro potrebbe puntare sul turismo ma, al momento, non ha un hotel» fa notare Germana Ciampa. Capelli scarmigliati, 4 figli-gioiello, è la portavoce del gruppone deciso a incatenarsi davanti ai palazzi di governo pur di ottenere risposte.
Incassato l’appoggio del sindaco Felice Spingola, nei giorni scorsi si è svolto un incontro in Regione con l’obiettivo di sbloccare i finanziamenti per promuovere sviluppo e occupazione. Tra i progetti già elaborati c’è la creazione nel borgo antico di un «albergo diffuso», costituito dalle antiche case del centro storico trasformate in altrettante camere d’albergo.
Non si rassegna Verbicaro. Dalle alte finestre del municipio pendono gli striscioni per chiedere lavoro. «Il primo movimento di lotta nacque nel 1975» ricorda Spingola che, coincidenza, anche allora era sindaco e riuscì a far assumere i disoccupati nel settore della forestazione. La protesta così diventa ridondante: ripete i segni perché l’intero paese continui a esistere. Scuotono la testa anziani e giovani, famiglie radunate in piazza, all’ombra di tronchi secolari: «Verbicaro non deve morire».
(ha collaborato Fabio Melia)
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Medicina, dal Sud la fuga dei migliori gli specializzandi emigrano
Si dice che in amore vince chi fugge. In medicina fugge chi vince. Almeno al Sud chi può scappa: i giovani aspiranti chirurghi hanno già fatto le valigie, sono emigrati subito dopo la laurea, spezzando ogni speranza di accorciare il divario in questa Italia a due velocità. (…) Con la riforma varata nel 2014, i migliori professionisti per la prima volta hanno avuto accesso alla scuola di specializzazione attraverso un’unica porta, che è stata regolata da una graduatoria nazionale: 12.168 candidati per 5.504 borse di studio, da novembre sono entrati anzitutto i più preparati al test, chiamati a scegliere tra le 54 sedi accademiche; e i napoletani in gran numero hanno preferito trasferirsi, rinunciando alla più comoda soluzione sotto casa. Il 30 per cento, secondo una stima preliminare.
L’inchiesta pubblicata sul Mattino (link)